Una giornata dedicata alle diversità specifiche di apprendimento, nell’ottica dell’approfondimento e della condivisione in tema di modalità di apprendimento e di modalità di insegnamento. Verranno trattate le tematiche dal punto di vista dei bamibini e dei ragazzi, delle famiglie, degli specialisti e degli insegnanti in una prospettiva di visione d’insieme e di lavoro comune.
Evento organizzato con il patrocinio e il contributo di Regione Piemonte, con il patrocinio della Provincia di Alessandria e AID (associazione italiana dislessia,) la collaborazione dell’IIS Saluzzo-Plana di Alessandria.
I TESTI DEGLI INTERVENTI DEL CONVEGNO SONO DISPONIBILI SUL SITO NON ANCORA INDICIZZATO http://www.diversapprendere.altervista.org/index.html. PER ACCEDERVI COPIARE QUESTO LINK NELLA BARRA DEGLI INDIRIZZI DEL BROWSER
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Insomma, andavo male a scuola. Ogni sera della mia infanzia tornavo a casa
perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano la riprovazione dei miei
maestri. Quando non ero l’ultimo della classe, ero il penultimo (Evviva!) Refrattario
dapprima all’aritmetica, poi alla matematica, profondamente disortografico, poco
incline alla memorizzazione delle date e alla localizzazione dei luoghi geografici, inadatto
all’apprendimento delle lingue straniere, ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non
fatti), portavo a casa risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica, né dallo
sport né peraltro da alcuna attività parascolastica.
“Capisci? Capisci o no quello che ti spiego?”
Non capivo. Questa inattitudine a capire aveva ridici così lontane che la famiglia aveva
immaginato una leggenda per datarne l’origine: il mio apprendimento dell’alfabeto. Ho
sempre sentito dire che mi ci era voluto un anno intero per imparare la lettera a. La
lettera a, in un anno. Il deserto della mia ignoranza cominciava al di là dell’invalicabile b.
“Niente panico, tra ventisei anni padroneggerà perfettamente l’alfabeto.”
Così ironizzava mio padre per esorcizzare i suoi stessi timori. Molti anni dopo, mentre
ripetevo l’ultimo anno delle superiori inseguendo un diploma di maturità che si ostinava
a sfuggirmi, farà questa battuta:
“ Non preoccuparti, anche per la maturità alla fine si acquisiscono degli automatismi…”.
O, nel settembre del 1968, quando ho avuto finalmente in tasca la mia laurea in lettere:
“Ti ci è voluta una rivoluzione per la laurea, dobbiamo temere una guerra mondiale per
il dottorato?”
Detto senza alcuna particolare malignità. Era la nostra forma di complicità. Mio padre ed
io abbiamo optato molto presto per il sorriso.
Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, Milano, 2008
(citato da Michele Maranzana, insegnante)